a cura di Tiberio Artioli
Bondeno – Pieve di Cento – Stellata – 2004
Dimensioni Catalogo cm 17 x 24 – 64 pagine
TESTI:
MALLEUS MALEFICARUM O LA ZAMFROGNA RITOVATA?
Nelle mie visite allo studio centese di Matteo Nannini la ricerca di uno spazio in cui sedersi diventa tutte le volte uno simpatico, amicale gioco di cortesie e di incastri: per spostare le tele, liberare una sedia, ritrovare uno slargo in cui sistemare le numerose opere già pronte per le tre sedi espositive. Opere che non stanno mai ferme, come il loro autore d’altronde, e ritornano a rioccupare i luoghi originari o sgranarsi, bellissime, per ogni dove a farsi ammirare. Nello studio restano solo i quadri in lavorazione mentre la stanza sul retro risulta ormai totalmente satura. L’aria estiva che entra dalle finestre si combina ad altre sensazioni di humus, di cortecce, di giovane pelle accaldata, di pozze d’acqua. Sono questi i soggetti dei suoi ultimi lavori. Il termine witchwatching, che l’artista propone per questa serie, è una sorta di calcolo linguistico del più conosciuto birdwatching, l’osservazione degli uccelli nel loro ambiente naturale. Osservare. Nulla sembra più semplice e scontato per cogliere questi aspetti che la quotidianità non mette più in risalto o tende a velare. Eppure l’osservazione non è mai un’operazione neutrale come a prima vista potremmo credere. Chi osserva, enfatizza un frammento del mondo e mette tra parentesi tutti gli altri aspetti che rendono complessa la realtà. L’osservazione, in quanto preceduta da un particolare interesse per il soggetto osservato, si porta appresso qualcosa di teorico che influenza alla fine l’interpretazione stessa dei dati osservati. La qual cosa può essere di un qualche vantaggio in campo artistico. L’aspetto artificiale del rapporto osservatore-osservato si evidenzia allora nella pervasività dello sguardo e, soprattutto, nel modo d’essere l’uno nell’occhio dell’altro. In questo gioco di rimandi lo spettatore viene, alla fine, a trovarsi coinvolto come terzo elemento catalizzatore tra i due poli della relazione osservativa.
I versi: “La mia notte non ha tenebre: tutte le cose risplendono di luce”, che Matteo Nannini mi cita convinto, si adattano bene a diventare una metafora della pittura. E’ la luce, infatti, che svela le differenze dei pigmenti, esalta le superfici, si attarda nelle zone d’ombra, disegna le anatomie del corpo femminile e le forme del paesaggio. La luce diventa visione, pittura, paradigma del mondo; sorpassa tutte le altre percezioni, diviene predominante, esclusiva. La vista mette tra parentesi gli altri sensi che ci fanno conoscere la realtà. The last remaining light non è allora soltanto una canzone, il sottofondo musicale delle lunghe ore di lavoro, ma una vera e propria dichiarazione di poetica. In questo momento di passaggio tra le ore della luce e quelle delle tenebre, in questo cedere o sopravanzare del giorno o della notte si gioca la visione degli spazi e dei corpi. Comincia un altro impero dei sensi, si manifesta un altro lato della conoscenza che riorganizza percettivamente il nostro essere. E’ una ricchezza di umori preziosi che permette di accorgerci del mondo e di noi stessi. Come pittore, Nannini predilige sempre una rappresentazione dell’espressione corporea tendenzialmente accademica e spesso antigraziosa, figlia di influenze figurative proprie della pop art o della pittura di genere camp. Il corpo diventa la sede di liturgie derisorie fatte di carne e di sangue, talvolta beffarde, sarcastiche, spesso crudeli. Attraverso le sollecitazioni mediatiche, l’illustrazione, il fumetto, l’artista propone un lavoro ironico, disincantato apprezzamento della cultura di massa e delle sue stereotipie. L’ostentazione del corpo o, meglio, la messa in scena del corpo squaderna sulle tele una visione neo-pompier della rappresentazione anatomica. Il pennello del nostro riesce dunque a solleticare al massimo grado la visione, lo sguardo, l’occhio dello spettatore.
La strega che ci viene proposta è una creatura meravigliosa, generatrice di un mondo sublime che non ci appartiene più. Così sostiene l’artista. Essa ha ben poco a che fare con i luoghi comuni della tradizione popolare. Questa strega, infatti, potrebbe appartenere piuttosto al movimento della Witchcraft. Come giovane wicca sarebbe una sostenitrice di quella stregoneria positiva, fondata sulla natura, in difesa della vita, capace di entrare in comunione con i quattro elementi, di vivere in stretto collegamento con il mondo che la circonda: esseri umani, animali e vegetali, compresi. La sostiene, insomma, una voglia di creare armonia tra le persone, di dar forza a se stessa ed agli altri, di armonizzarsi con il ritmo naturale delle energie vitali, segnato dalle fase lunari, dalle quattro stagioni, dalle quattro direzioni dello spazio. La stella a cinque punte iscritta in un cerchio, il pentacolo magico, che la nostra strega indossa in molti quadri, rappresenta l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra più l’umanità. Nulla a che fare con il satanismo, dunque. Ma la nostra strega potrebbe anche essere una seguace dei movimenti “verdi”. Un’appassionata ecologista, capace di rinvigorire certi cromosomi iscritti nel DNA delle nostre genti di pianura. Una creatura dei boschi delle storie passate, delle foreste che non esistono più. Potrebbe essere ancora discendente di una qualche strulgadora, indovina e guaritrice dei tempi andati. Spesso nei vecchi archivi ecclesiastici, tra le indicazioni canoniche mi sono comparse dinnanzi annotazioni a margine di anonimi vissuti, di personalità e di comportamenti di folgorante illuminazione. Creature libere o disperate, connotate spesso dal solo soprannome, semmai un nome l’abbiano mai veramente avuto. Così la Zamfrogna che vive libera e girovaga in un ambiente che conosce intimamente, nelle direzioni del vento, nello scorrere delle acque e delle stagioni, nella volta stellata del cielo, nel calore umido dello strame di valle che le serve da giaciglio. Sa conoscere le virtù delle erbe e degli animali, molto meno quelle degli uomini. Avrà una figlia naturale, la Maria, che già dal nome sembra destinata a diventare l’arzdora di una famiglia tanto numerosa da legarsi per generazioni alla terra…fino a quando, cambiate le cose del mondo e degli uomini, certe pulsioni, certe sensazioni pretenderanno risposte, determineranno comportamenti e nuove certezze.
L’artista dunque vuole osservare la strega nel suo ambiente naturale. Un buon numero di oli su tela connota tale area proprio nella Padusia, almeno così come si presenta nella sua variante contemporanea. I boschi residuali, gli stagni, le casse di espansione dei fiumi pensili sono tutto quello che ricollega il paesaggio attuale alle selve antiche del territorio compreso tra il Po, il Reno e il Panaro. Un’antropizzazione smodata ha colonizzato ogni dove; il lavoro delle acque e la fatica degli uomini hanno costruito ex novo la nostra campagna. La fissità apparente di uno spazio immobile cela, però, il flusso vitale di tutti gli elementi che lo compongono. Il quadro dal titolo Carica di Fanteria, ad esempio, rappresenta molto bene questa situazione magica. E’ una cavalcata di alberi che richiama la tragedia di Shakespeare, certamente, ma da citare nella variante emiliana di Verdi/Piave.
Macbeth (atto IV)
Macbeth: Che fu? Quali nuove?
Coro: La foresta di Birna si muove!
In questo ambiente la nostra strega si muove del tutto sicura. Non si avverte. Il passo lieve tocca appena il terreno. Nascosta nel pulviscolo dei raggi del sole che filtrano tra i rami, resta immobile in attesa che ogni intrusione si plachi. La strega compiutamente vive i quattro elementi della natura: il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra. La ruota dei quattro elementi disegna arcane cosmogonie, determina la qualità delle cose. L’artista la segue in questo percorso. Ad esempio, nelle belle tecniche miste su carta esposte a Bondeno rappresenta lo spazio della strega nella campagna innevata ed introduce in tal modo il discorso del gelo come energia che unisce quanto è eterogeneo, come assenza di forma. Nelle opere di Pieve di Cento enfatizza il rapporto della strega col fuoco. Il fuoco nella notte produce sulla tela piccoli sfondati che allargano lo spazio chiuso dal buio. In quelle di Stellata invece fa prevalere la presenza dell’acqua.
Il tempo della strega non si riconosce nel tempo degli uomini; per lei non è altro che il ciclo naturale degli eventi e dei ritmi stagionali. Il contatto con la Madre Terra scandisce ritmi di vita diversi da quelli che oggi ci appartengono. Ad ogni tempo corrisponde qualcosa di definito da compiere, per vivere in armonia con l’ambiente che ci ospita o, piuttosto, ci tollera, senza aggredirlo o danneggiarlo. Se l’opinione comune ritiene che la strega sia al di fuori della cronologia corrente per virtù magica, Nannini ben rappresenta i due poli della vita della strega nei ritratti della giovane donna e della vecchia Alcina invasata. Potremo, infatti, ugualmente citare streghe del mondo classico come Circe, Armida, Alcina, appunto, oppure la matrigna di Biancaneve, Grimilde, sogno erotico di Woody Allen da giovane. Quel che è certo, Alcina è vecchia e laida ma per incanto appare giovane, in boccio, e seduce Ruggero. L’età anagrafica della strega dunque non conta, sono gli altri che la percepiscono come negativa. Idoli di perversità diventano allora nell’immaginario collettivo sia la giovane strega, che sollecita l’eversione delle regole convenzionali e che risulta sempre pericolosa per la fascinazione della sua bellezza, sia la vecchia strega maggiormente maligna e laida a causa dell’esperienza accumulata. L’artista in questo witchwatching accoglie sollecitazioni diverse e le riformula in modo del tutto originale. Il tempo della raccolta delle erbe durante le fasi lunari, la stessa nudità della raccoglitrice suggeriscono una scansione temporale dell’azione ma anche della messa in posa, come una figurazione “en rallenti”. Il rallentamento consente di pensare il tempo in una prospettiva diversa, di viverlo con maggior serenità, di rappresentarlo sul supporto pittorico secondo intenzionalità nuove.
Il pittore e la strega rappresentano il sogno dell’uno e la realtà dell’altra o viceversa. Metafora della pittura, l’occhio del pittore e la luce del giorno riorganizzano dal punto di vista percettivo e semantico l’esaltazione della bellezza giovanile. Il nostro artista coglie molto bene il rapporto che intercorre tra gioventù e darkness, il fascino della parte oscura della vita. Afferra il senso della dualità giorno/notte, freddo/caldo nell’iterazione delle mille possibilità in cui si manifesta l’ultima luce del giorno. La luce, come quinta essenza, pervade tutto e tutti. Le gradazioni fondamentali della luce diventano dunque la fonte d’ogni visibilità. Le persone ed i paesaggi che esaltano l’ultima luce del giorno riportano al centro della scena la dialettica luce-oscurità, così come tutta la ricerca pittorica di questa serie voluta da Matteo Nannini esalta gli ultimi bagliori della stagione stregata della giovinezza. Possiamo ancora una volta far risuonare la voce di Armida.
Rossini, Armida, parole di Giovanni Schmidt
Atto II
A. La fresca età sen fugge
E’ la beltade un lampo
Che l’una e l’altra strugge
Il tempo vorator
Dunque godete amanti
De’ vostri lieti istanti
Or che ne ride in volto
Di giovinezza il fior.
Gianni Cerioli
IN BAMBOLA
Nel sesso, per avere fortuna bisogna avere il cuore duro, più duro dell’acciaio e… farlo sapere!
“Era tutto il giorno che avevo in testa quella frase; mi girava e rigirava per la capa. L’avevo sentito chissà dove e ora ronzava, ronzava, ronzava. Così verso sera decisi. Sì, farò proprio così; la smetterà finalmente di guardarmi con quei suoi occhi da strega; la smetterà di farmi fare tutto quello che vuole con le sue moine!
Chi crede che io sia? Il suo zimbello, il suo trastullo? Il suo uomo oggetto? Crede forse di potermi usare a suo piacimento: vieni qui! Fai questo! Portami là… Due moine, una mossetta, uno sbattere di ciglia, uno sguardo con i suoi occhi blu ed io subito a cedere… Ceeerto amore, sì amore, subito amore… Questa mi ha fatto la fattura, sono sicuro, ha usato una ciocca dei miei capelli o un’erba di campagna e io sono fatto, ammaliato, prigioniero. Lo diceva anche la maga Esther l’altra sera per televisione. Adesso la chiamo al cellulare e glielo dico subito, così capisce subito con chi ha a che fare.”
347.646.5.323
…messaggio gratuito. Il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile. La preghiamo di richiamare più tardi.
“Cazzo!! Bah! Come al solito! La chiamerò più tardi.”
Così ragazzi, me ne andai al bar “I co.co.co” per farmi una birra e per tenermi un po’ su. Riprovai a chiamarla dopo mezz’ora. Ancora spento!
Al bar c’era la solita gente del mio giro, alla solita ora, con le solite facce, con la solita musica. C’erano Bigio, Cinci, Gigi, Luca e Crosta, più altri che non sto perdere tempo a descrivervi. L’unico impegnato in qualcosa di serio era il barista che ci portava da bere e un tot di cianfrusaglie da mangiare.
“Zacca!! Dammi un birrino, che devo mandare giù dei bei magoni.”
“Tieni questa che è una gran consolatrice! Ti preparo anche un gnocco caldo che aiuta a mandarli giù”.
Mi avvicinai al Bigio.
“Stavolta la mollo!! Sì, Bigio, la mollo. L’altra sera siamo andati a fare un giro in campagna come al solito e quando siamo arrivati nei boschetti lì vicino al Reno, si scatena. Come le altre volte, più delle altre volte.
Una gatta, una strega, una maga… No! Una fata, che non riesco a dimenticare. I suoi occhi poi… e il suo corpo che mi provoca e che mi rende famelico, ma che non mi sazia mai. Bisogna che le dica basta! Poi mi ha mollato davanti a casa sua come se non fosse successo niente, come se io non fossi nessuno, come se non ci fossimo mai visti. Devo dirle basta!”
“Ma va là. E’ un pezzo che lo dici. E’ ora di farlo o di tacere, così non ci rompi più a noi.”
“Bigiooo, ma non mi risponde mai neanche al cellulare.”
“Mo alora mandale un messaggio e aspetta che sia lei a muoversi per prima.”
“Sai che hai ragione farò proprio così.”
E così ragazzi, mi misi lì a pensarla bene, mi impegnai proprio e le mandai questo gran messaggio:
Mi hai lasciato sul ciglio del bosco,
come se non sapessi più cosa fare di me!
Mi hai lasciato spettinato e lascivo,
come se non avessi più bisogno di me!
Mi hai lasciato senza darmi un ultimo sguardo,
come se volessi avermi già dimenticato.
I tuoi occhi sono lucidi e ferini, amore,
ora che mi stai straziando il petto.
“Ma allora sei scemo!” mi dice il Bigio. “Ma va là, va là che lo abbiamo capito: sei in bambola totale e non ne esci più. Puoi solo sperare che lei abbia pietà o sia un poco innamorata. Bevi! Bevi, un’altra birra e poi va a letto che è meglio.”
In effetti si era già fatta notte. Sarà stata la birra, il magone o lo sforzo per scrivere il messaggio ma me ne andai verso casa e mi gettai nel mio letto di spine. Stavo per addormentarmi quando mi arrivò un sms di risposta dalla mia gattona.
Dormi già disteso nel tuo letto di sogni:
cavalli alati, amori conquistati?
O sei rappreso e stanco ed il duro materasso
Acuisce quelle sensazioni?
Dormi già sonni tranquilli e vaporosi?
O annusi l’aria per indovinare dov’è il fuoco di castagno
e quale sia la strada da percorrere?
Per me, corre veloce,
come questo freddo vento di ponente,
l’idea che l’amore per te stia volando via.
Ancora l’estate scorsa eri tu
che riempivi ogni cosa di significato
ma ancora una volta, hai girato il capo
al passare di un sentimento almeno da ascoltare.
Ed oggi, come la luna che ho di fonte,
stai per tramontare.
Vuoto, paura, magone, angoscia, sudori. Subito la chiamai.
“Come? Sto per tramontare? Come? L’amore sta volando via?”
E io? Come avrei fatto? Cosa avrei combinato? Chi mi avrebbe amato? Io avevo bisogno di lei e forse per questo l’amavo. “Ma, ma… amore, non puoi farmi questo. Io ho ancora bisogno di te. Senza di te dove sbatto la testa? Non mi puoi mollare così, ti prego… ti prego. Adesso vengo lì che ne parliamo ancora… Ti convincerò…!” “No amore è tardi, domani, …dai, domani ci vediamo. Adesso lasciami andare a letto prestino perché domattina ho un esame e voglio arrivare in ordine. Poi ho una sonno, una sonno… Voglio passare l’esame così il mio babbo mi regala il motorino e poi non ne posso più di studiare. Intento me ne scavo. A domani, va là, a domani, …forse. Ciao… Ciao.”
(Continua)
© Graziano Campanini
Agosto, 2004